Spring Breakers – l’apologia dell’evasione

spring-breakers-3a

 

E’ una provocazione?, è una presa per il culo?, è una trashata? – E’ un film. Mi sentirei di rispondere. Perché in questi giorni si è perso di vista non solo il fatto che questo è un film, ma anche che è un signor film, di quelli che ti fanno avvicinare allo schermo invece che lasciarti immobile sdraiato sulla poltroncina, quelli che rimangono un bel po’, dopo.

Korine in questo caso è  già stato e verrà ampiamente frainteso, nel senso che molti vi si accosteranno senza neanche rendersi conto di star vedendo qualcosa di oggettivamente brillante, limitandosi a constatare ciò che mostra l’inquadratura (nella fattispecie: tette-armi-droga) e quindi a etichettare come “boiata” tutta l’operazione.

“Boiata” perché in locandina compaiono quattro ragazze in bikini, sono Vanessa Hudgens, stellina di High School Musical, Selena Gomez alias fidanzatina di Justin Bieber, Ashley Benson già vista in una puntata di The OC e Rachel Korine (nientedimeno che la moglie del regista): è la loro presenza, forse, a compromettere così tanto la credibilità del film, anche se è grazie a questa il film divampa: Korine punta tutto il suo stile sull’effetto straniante, e questo forse è lo straniamento più forte ed evidente che dà il film: le popstar-madonne degli adolescenti nelle vesti di quattro criminali di bassa lega, messe lì per attrarre maschi in sala.

James Franco è il valore aggiunto: la sua interpretazione è esattamente in linea con quelle delle ragazze, il suo rapper bianco Alien ha quel ché di viscido e delicato che strania non poco lo spettatore.

Harmony Korine persegue decisamente un’estetica profondamente cinematografica ma utilizzando tutti i mezzi meno cinematografici che possiede: si entra dentro l’anticinema, la generazione Mtv è quella che viene posta sullo schermo, o quella, ancora più anarchica, di YouTube: si racconta un Nulla di cui tutti possono appropriarsi solo volendo, una posa, un’imitazione, quasi, tanto estremizzato da rendere l’emulazione personalità, come quella delle protagoniste, che emulando l’atteggiamento gangsta di Alien/James Franco nella  scena della camera da letto finiscono per sottometterlo, per vincerlo, proprio perché si trasformano in lui e glielo risputano addosso, ed è ciò che questo film è: il vomito di una società masticata a forza e forse mai digerita. Che il vomito potesse essere così bello, poi, è proprio quello che mi ha stupita nel film.

Spring-Breakers-08

E mentre Friedkin, quasi contemporaneamente, filmava la sua fellatio – innocua – d’imposizione di virilità suprematistica in Killer Joe, Korine ne filma l’esatto opposto, una fellatio femminile, che è una roulette russa, che può esplodere da un momento all’altro, che impone l’autorità femminile, la rivendicazione di uno spazio etico di valori simili e opposti che penetrano non a caso ancora più profondamente di quelle di Friedkin: un atto di forza maschile compiuto attraverso mezzi femminili, l’annullamento delle polarità sessuali, l’imposizione di una nuova società che riprende in mano ciò che ai ruoli femminili è stato sempre vietato, al cinema e alla televisione.

Tutto il film è anteposizione dell’immagine e del suono sulla narrazione, che è frammentaria, scomposta, gli snodi vitali sono quelli in cui niente viene raccontato e tutto viene mostrato: l’onirica scena della festa in cui le immagini si liquefanno sotto l’insistente musica di Skrillex (e Cliff Martinez, lo stesso della soundtrack di Drive!) , o quella in cui sentiamo in sottofondo Everytime di Britney Spears mentre si compie il vero e proprio battesimo anti-culturale delle protagoniste.

Non solo un inno al cazzeggio come può sembrare, quindi, questo film, cazzeggio rappresentato per generazioni di studenti americani dallo Spring break, la vacanzetta di un paio di giorni fatta in primavera, tutta questa cultura pop diventa piuttosto un’apologia dell’evasione: nella sua resa alla degenerazione dell’essere umano contemporaneo, all’edonismo culturale, si annulla ogni spazio morale che quindi può farsi di nuovo corpo, e violentemente, attraverso dei cappucci rosa, rovesciando completamente il senso che certi simboli o certe azioni hanno, per tradizione, nella società contemporanea.

Il cinema di Harmony Korine, a partire da Gummo, si pone costantemente al bordo della così detta “estetica trash”, ma lo fa a ragion veduta, con provocazione: rimette allo spettatore la necessità d’inserirlo o meno in quel filone.

Da parte mia, consiglio solo di vederlo senza pregiudizi o ideologie filo-cultural-estetizzanti, perché merita una comprensione più ampia…